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Il Laboratorio come luogo per la Prevenzione al Disagio Minorile: Progetto Centri Età Evolutiva

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Nel 1988 si apre, nel Comune di Venezia, il Progetto Età Evolutiva con l'obiettivo di prevenire il disagio minorile. Questo obiettivo è sostenuto da una concezione psicologica che vuole, attraverso un insieme di interventi di natura educativa, favorire lo sviluppo dei processi integrativi della crescita.

Si vuole aiutare il bambino a raggiungere il sentimento d'identità. Per far questo si tiene conto che la formazione dell'identità è un processo che deriva dalIa riuscita dell'integrazione di tutte le identificazioni frammentarie dell'infanzia. Infatti è la capacità di continuare a sentirsi se stessi, pur nel succedersi dei cambiamenti, che costituisce la base dell'esperienza emotiva la quale determina l'identità. Perciò è necessario mantenere il senso della stabilità mentre si attraversano le diverse circostanze, trasformazioni e cambiamenti della vita.

Infatti l'evoluzione di ogni individuo è inevitabilmente una serie ininterrotta di cambiamenti, piccoli e grandi, attraverso l'elaborazione e l'assimilazione dei quali si consolida il sentimento dell'identità. Ciò provoca inesorabilmente sentimenti di ansia e perdita e stimola la tendenza ad aggrapparsi al noto, al familiare. Ed è per questo che l'individuo è portato a ripetere, onde evitare la novità. Anche il bambino quindi è portato a mantenere e consolidare alcuni atteggiamenti infantili anziché evolversi per raggiungere la propria maturità.

Prevenire diventa allora l'offerta di uno spazio perché il bambino rielabori ed integri, con un adulto attento al suo mondo interno, le proprie esperienze, al fine di fargli raggiungere una maturità adeguata alla sua età cronologica. E' attraverso l'incontro con l'animatore, emozionalmente significativo grazie all'attenzione posta alla relazione, al vincolo e al legame, che si pensa di poter offrire ad ogni bambino l'occasione per imparare a sentirsi bene dentro a se stesso.

Nel giugno 1991 il Progetto Età Evolutiva si chiude e si apre una fase di verifica che lo trasforma nei Centri età evolutiva che tutt'ora operano in sette quartieri della città (1).

Lo strumento prescelto per l'intervento sia nella prima fase del Progetto Età Evolutiva che, per la validità dimostrata, nella seconda fase, dei Centri età evolutiva, è il laboratorio.

Il laboratorio è il luogo dove l'animatore incontra un gruppo di bambini, al massimo quindici, per stabilire, attraverso un'attività ludica, quella relazione significativa che possa incidere nel processo di crescita dei minori.

I laboratori, posti in diverse aree del territorio comunale, diventano luoghi d'incontro, nel tempo libero, per bambini dai sei ai dieci anni e per ragazzi dagli undici ai quattordici anni.

Oggi i laboratori funzionanti all'interno dei Centri età evolutiva sono venti e, assieme a quelli operanti nella fase del Progetto Età Evolutiva, hanno offerto, nei quattro anni di attività, la possibilità di un'esperienza significativa a circa mille bambini.

I bambini accedono ai laboratori sia attraverso pieghevoli e manifesti diffusi in tutte le scuole dell'obbligo, sia attraverso la presentazione delle attività fatte, dagli animatori, sempre nelle scuole. I laboratori sono ormai anche individuati in città, per l'attenzione data al loro interno ai vissuti dei bambini, come luoghi dove i piccoli vogliono andarci perché vi stanno bene. Pertanto i bambini da soli, o accompagnati dai genitori, vi si recano quando sentono il desiderio di vivere un' esperienza basata sulla ricerca di un rapporto che renda piacevole lo stare insieme anziché impegnare il tempo libero nella più usuale ricerca del raggiungimento di qualche competenza sportiva, artistica, linguistica, musicale, ecc. A fianco di questa modalità di arrivo c'è l'invio di bambini e ragazzi effettuato dagli assistenti sociali del servizio sociale decentrato di ogni quartiere.

Essi aiutano i bambini che, pur desiderosi di partecipare, non sarebbero in grado di avvicinarsi ai laboratori senza il sostegno di un adulto. In questi casi si pensa che, se la famiglia o la scuola non possono svolgere una funzione di accompagnamento del bambino, lo possa svolgere l'assistente sociale dando sostegno alla famiglia affinché trovi modalità e risorse per garantire ai bambini la partecipazione al laboratorio.

Il compito dell'animatore

E' compito dell'animatore predisporre l'accoglienza all'entrata dei bambini nel laboratorio e poi osservare le relazioni che nascono sia tra i bambini sia con lui, costruendo quindi dei legami stabili che diventino vincolo tra egli stesso e i soggetti che a lui si affidano. In particolare gli è chiesto di prendere coscienza dei sentimenti che la relazione con i bambini suscita in lui per comprendere cosa veicolino tali affetti e utilizzarli per capire cosa stia emozionalmente attraversando il gruppo. La comprensione dei vissuti dei bambini avviene quindi a partire dal cercare il senso dei fatti che segnano la vita del laboratorio. Il fare nel laboratorio è quindi sottoposto all'osservare e al comprendere per poter continuamente restituire, attraverso un ulteriore fare, ciò che, fino a quel momento, si è compreso dei vissuti del gruppo.

L'agire è quindi inteso come uno strumento che «interpreta», cioè dà senso, allo stare insieme. L'azione serve pertanto per costruire ed approfondire la relazione.

E' la relazione che determina la possibilità di comprendere come stiano i bambini e cosa offrire loro per aiutarli nel percorso maturativo. Ma la relazione è mediata, veicolata e sorretta da un «oggetto» che serve come metafora da riempire con ciò che l'incontro, tra quei bambini e quell'animatore, sarà capace di creare.

lo spazio dove dare forma e rendere visibili le relazioni si chiama «Attività Tematica», Questa definizione sta ad indicare pertanto le attività che si realizzano all'interno del laboratorio per costruire, creare, dare senso allo stare insieme.

L'attività è allora realizzata attorno al filo conduttore della suggestione iniziale. E' questa che serve da sfondo, da trama, da elemento conduttore per integrare le diverse attività che si svolgono nel laboratorio. Pertanto l'uso di tecniche di manipolazione ed espressione o l'utilizzo dell'ambiente esterno sono tutti strumenti che rendono visibile o meglio viva la metafora.

Il laboratorio si crea allora attorno ad una idea iniziale e lo si sviluppa poi utilizzando le più svariate tecniche (Allegato 1), che servono ai bambini per esprimere, comunicare, affermare se stessi. Si vuole così poter far narrare dai bambini i contenuti della suggestione, della metafora dando forma alle loro fantasie. E' così che l'attività tematica diviene espressione del loro mondo interno.

L'animatore ha quindi il compito di incidere sullo sviluppo maturativo dei bambini attraverso l'attività tematica, sostenuta sempre dall'osservazione relazionale in quanto è quest'ultima che indica il percorso attraverso il quale si concretizza ogni volta la proposta di lavoro nel laboratorio.

Creare lo spazio

Affinché il processo relazionale, che connota l'intervento preventivo si avvii e si consolidi, è necessario un presupposto fondamentale: la creazione dello spazio.

Esso si rende visibile attraverso la cornice prevista per gli incontri e la metafora delle attività proposte.

Il ritmo nel tempo assicura presenza ed assenza, attività e pause, pieni e vuoti, garantendo un divenire segnato dalla capacità di tollerare le differenze nella realtà delle cose.

La metafora dell'attività crea al suo interno quello sfondo sul quale i bambini possono proiettare se stessi per crearsi creando.

Per rendere operativo questo spazio è necessaria l'assunzione, da parte dell'animatore, della dissimmetria tra sé e il gruppo di bambini o ragazzi.

Tale dissimmetria comporta, tra l'altro, la capacità di creare, custodire e proteggere lo spazio dove le azioni devono svolgersi. E' infatti l'animatore che garantisce il luogo dell'incontro quale spazio dove il processo creativo possa svolgersi.

E lui che non permette intrusioni, influenze ed ingerenze esterne mentre lavora, tutelando in tal modo il contenitore dove i bambini possano esprimersi senza essere disturbati.

Tale tutela permette ai bambini di depositare nel laboratorio i loro vissuti senza timore che vengano dispersi, colti da occhi estranei, minacciati da azioni casuali; finite le due ore dell'esperienza, il bambino può quindi separarsene lasciandola «depositata» nel laboratorio per ritrovarla al prossimo incontro.

E' un po' come se l'animatore proteggesse l'immersione dei bambini nel proprio mondo creativo, ma anche garantisse loro l'uscita con un ritmo costante: i due incontri settimanali.

E' attraverso la loro ripetitività che si permette infatti ai bambini di raggiungere la sicurezza della consistenza e stabilità del luogo dell'incontro. Ed è questa stabilità, assieme alla continuità dell'esperienza, che permette di elaborare continuamente il senso di ciò che appare all'interno dei laboratori.

Un altro punto fondamentale, affinché l'esperienza possa realizzarsi, sembra essere l'assunzione, la segnalazione, l'individuazione di strategie, da parte dell'animatore, per affrontare i momenti di crisi della struttura del laboratorio. L'animatore infatti dispone, grazie al lavoro di osservazione effettuato in questi anni, di una prima mappa di questi momenti di rottura.

Essi sono visibili quando i gruppi modificano la loro composizione per l'entrata o l'uscita di bambini, o quando l'interruzione degli incontri per vacanza o assenza dell'animatore, determina una perdita del senso di continuità dell'esperienza. Sono tutte situazioni in cui il gruppo dei bambini sente minacciato il proprio posto nel laboratorio. Sarà pertanto cura dell'animatore non solo osservare ciò che questi fatti scatenano, ma anche preparare i bambini, là dove possibile, ad affrontare questi momenti di destabilizzazione dell'esperienza continuando anche ad analizzare quali altri elementi possano significare una perdita di sicurezza nella tenuta del laboratorio.

La metafora dell'attività, assunta come «colla» che dà senso al fare, può allora assumere consistenza grazie alle strategie individuate dal!' animatore in riferimento agli accadimenti che si presentano nel dispiegarsi degli incontri.

L'animatore mette a disposizione i suoi pensieri, le sue competenze e le sue abilità per dare forma, sostanza, narrabilità alla metafora.

E' proprio l'assunzione della dissimmetria tra adulto e bambini che garantisce quella regìa che rende il fare un processo metabolizzato e reso significativo dalla mente dell'operatore. E' così che lo spazio è riempito dall'esperienza nata dall'incontro tra quei bambini e il loro animatore.

Il percorso

E' la definizione dello spazio e del tempo che permette, nell'incontro tra animatore e bambini, l'emergere della creatività.

Per creatività si intende la possibilità di lasciar trasparire, dall'essere e dal fare dei bambini, ciò che essi sono veramente. Si intende cioè la possibilità di lasciar loro inventare il proprio «gioco» entro la cornice posta dal laboratorio. Il bambino quindi, attraverso il suo giocare in presenza dell'animatore, lascia intravedere la sua realtà interiore.

Il gioco, in questa particolare situazione in cui l'adulto è in grado di guardare, partecipare, lavorare assieme, stare in disparte, dare senso e significato a ciò che viene creato, ha perciò la funzione di permettere al bambino di rivelarsi e di comunicare. Comunicare attraverso il gioco in luogo della parola.

Infatti i bambini nel laboratorio sviluppano le loro idee attraverso la metafora dell'attività che nasce attraverso i «segni» inviati dai bambini e colti dall'animatore come elementi caratterizzanti quel gruppo.

Essa diviene così l'ambientazione, la suggestione, lo sfondo significativo, cioè la trama priva di forme rigide e definite su cui giocare, creare, inventare.

Un esempio:

P. apre il suo laboratorio. I bambini arrivano e si guardano attorno. P. propone di presentarsi.

Monica, una bambina di sette anni, afferma: «Al laboratorio viene anche la mia amica Giovanna, vieni che te la presento». E' così che Monica si dilunga nella presentazione di una invisibile amichetta che lei stessa definisce essere, indicandola all'animatrice, trasparente. P. ascolta, ma non sapendo come interpretare tali fantasiose affermazioni le lascia cadere.

Nell'incontro successivo Monica appena arriva corre da P. e le dice: «Lo sai che Giovanna è morta?». P. capisce che deve dare spazio a questa amica trasparente e si sente responsabile di aver lasciato «morire» questa idea. Rassicura pertanto la bambina che Giovanna è viva e che potrà stare con loro. A questo punto tutti i bambini si mettono dentro al gioco parlando di altri bambini trasparenti. I bambini prendono dei fogli di carta e si scrivono messaggi in uno strano codice: quello dei bambini trasparenti.

E' su questo elemento che P. decide che la metafora che condurrà l'esperienza del laboratorio sarà la costruzione della «Città Trasparente».

Tutti si mettono a lavorare su questa idea. Si fanno progetti, bozzetti, prove di costruzione.

Il laboratorio è iniziato.

Sta all'animatore dare via via un senso ai prodotti che appaiono e che esprimono simbolicamente le angosce, le preoccupazioni, i desideri, i conflitti del gruppo dei bambini.

Nel laboratorio si dà via libera alla fantasia permettendole di veicolare come il bambino stia affrontando la sua realtà interna. E' il giocare, il creare, il fantasticare dei bambini che aiuta perciò a capire quale sia il legame tra Ia loro realtà interiore e quella esterna.

E' il poter parlare di sé attraverso un ordine simbolico che aiuta i bambini a liberarsi dei loro contenuti conflittuali e permette loro di riordinarli attraverso il lavoro di trasformazione degli oggetti creati.

lo spazio ed il tempo rappresentano, inoltre, anche per l'animatore, la possibilità di immergersi nel rapporto con i bambini senza incorrere nel rischio di quell'erosione emotiva che può nascere dalle richieste affettive, spesso illimitate, che gli vengono poste dai piccoli.

Sono pertanto questi elementi reali che permettono ai bambini di esprimere il loro mondo interno e agli adulti di recepirlo.

Ma affinché i bambini possano correre il rischio di farsi conoscere l'animatore dovrà sospendere desideri e bisogni nei loro confronti.

Ogni aspettativa infatti deve essere aperta all'incontro con l'ignoto. Perciò ogni pressione al fare o al dover essere è sostituita dalla capacità di creare insieme.

Per permettere a questo processo di aver luogo gli animatori hanno bisogno di avere e di sviluppare sempre più Ia capacità di lasciare che l'altra persona sia se stessa mentre se ne occupano e proteggono il suo esistere.

Ciò che allora, all'interno del laboratorio, prende via via forma, quando le cose vanno per il verso giusto, è il ripresentarsi delle tappe del processo di crescita.

Ogni bambino seguirà quindi i suoi personali itinerari, ma tutti avranno modo di ripetere, rivedere, rivivere momenti cruciali del proprio percorso maturativo.

Il laboratorio è quindi il contenitore dove il bambino può svolgere la ricerca di se stesso.

Le uniche regole infatti sono quelle fissate dall'animatore per proteggere lo spazio dove il processo possa aver luogo.

Il percorso è ogni volta unico e irripetibile. Il bambino ha così occasione non solo di sperimentare la possibilità di creare la sua vita, ma anche di poter offrire agli altri analoga libertà di diventare e di essere se stessi senza sentir minacciata la propria identità.

La formazione degli animatori

L'assunzione da parte degli animatori dell'obiettivo del progetto ha richiesto in questi anni un articolato lavoro formativo.

La complessità dell'intervento, data dalla coniugazione dell'azione con il pensare sulla stessa, ha reso necessario predisporre più spazi di apprendimento.

Gli spazi previsti per appropriarsi del compito di lavoro sono molti e articolati tra loro ed hanno, come comune denominatore, l'attenzione a come il mondo interno di ciascuno segni la comprensione e perciò l'azione nella realtà esterna.

Il primo, realizzato attraverso stage con lo studio APS di Milano, vede la possibilità per gli animatori di elaborare continuamente la propria comprensione del contesto progettuale entro cui operano, prendendo in tal modo coscienza di come il loro lavoro incida nella qualità del progetto.

Il secondo, costituito da un gruppo di supervisione coordinato dalla Responsabile dei Centri età evolutiva, ha il compito di aiutare gli animatori ad elaborare i vissuti che emergono dalla relazione con i bambini.

Il terzo riguarda la possibilità di chiedere dei colloqui individuali sulla gestione dello spazio laboratorio, sulla relazione con i bambini o sull'attività tematica per analizzare avvenimenti, difficoltà, bisogni relativi a vissuti e fatti più difficilmente comprensibili.

Il quarto, costituito da un gruppo di lavoro, condotto da un operatore chiamato Referente tematico, analizza come le attività vengano utilizzate nel laboratorio per mantenere la qualità di interventi di tipo preventivo.

Il quinto è I'incontro di tutta l'équipe.

E' questo lo spazio dove tutti gli operatori che lavorano nel progetto analizzano le attività a loro affidate per comprenderne le connessioni.

Questo permette una riflessione continua sui dati che emergono dalla realizzazione del progetto che vuole occuparsi del bambino e delle sue relazioni. E questo infatti lo spazio dove gli animatori intrecciano le osservazioni sul loro lavoro con i dati emersi dal lavoro degli altri operatori che si occupano di genitori, educatori, insegnanti e operatori sociali.

E' perciò la continua riflessione sulle azioni che si compiono che permette di dare un senso agli avvenimenti rendendo l' operare occasione di apprendimento.

E' attraverso questo continuo interrogarsi su ciò che accade nel vincolo tra il bambino e gli adulti che di lui si occupano che si cominciano a trovare gli indicatori della difficoltà che ogni bambino incontra per divenire se stesso.

E' allora a partire da questi dati che si pensa di poter affinare gli strumenti per occuparsene.

 

(1) Per una conoscenza dei presupposti teorici'e delle fasi operative del Progetto si possono chiedere al Centro Studi Età Evolutiva - Via Piave 161 - 30172 Mestre (Ve) il volume Adulto e Bambino. Una relazione per crescere, a cura di P. Sartori e P. Scalari (Marsilio 1990), e il Documento conclusivo Progetto Età Evolutiva (Venezia 1991).

 

 

     

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    Paola Scalari
    è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
    Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
    Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
    Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
    Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

    Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
    La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
    Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
    Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
    A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

    "Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.