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Un figlio in tempo di crisi. Una opportunità per "reinventare la vita"

Intervista alla psicoterapeuta Paola Scalari

 

La "rappresentazione" della parola ha subito una modifica epocale a partire dalla diffusione della contraccezione e dalla legge sulla interruzione volontaria di gravidanza: oggi un figlio è quasi sempre scelto. Nella società attuale però la famiglia cambia e con essa l'educazione dei figli, ma ciò che resta fondamentale è il rispetto tra genitori, anche da separati, e tra adulti che fanno parte della stessa comunità familiare o educativa.

"I bambini più piccoli ed anche gli adolescenti hanno bisogno di non sentirsi sovraccaricati di aspettative e vanno sostenuti a rivelare, prima di tutto a se stessi, ciò che sono e che possono diventare - sottolinea Paola Scalari psicologa e psicoterapeuta esperta soprattutto di età evolutiva -. Un figlio resta altro da sé e va amato, ma anche aiutato a trovare la propria strada qualunque essa sia. La crisi contribuisce a cambiare il modo di educare, tutto cambia repentinamente e quasi nulla è prevedibile. A mamme e papà non rimane che offrire al figlio gli strumenti per affrontare quel che verrà. Senza mai dimenticare che Comune di Venezia, Ulss 12 e terzo settore collaborano da anni per fornire ottimi servizi a sostegno della crescita dei bambini e dell'impegno educativo di genitori ed altri adulti di riferimento:

Dottoressa Scalari, come era vissuta la nascita di un figlio qualche decennio fa e come viene vissuta oggi?

La rappresentazione della prole ha subito una modifica epocale a partire dalla diffusione della contraccezione e dalla legge sulla interruzione volontaria di gravidanza: oggi un figlio è quasi sempre scelto.

Il figlio come "scelta", e non per "volere divino", comporta però anche un rischio che include la fantasia da parte dei genitori di poter avere un figlio perfetto, dotato di tutte le attitudini desiderate. Pertanto invece di assecondare la natura di ogni bambino, i genitori di oggi tendono a volere che ogni piccolo si conformi alle proprie aspettative. E visto di figli se ne fanno pochi, si crede che quell'unico discendente debba rispondere a tutti i propri sogni.

L'operazione tentata dai genitori di forgiare il bambino sul proprio desiderio, fortunatamente, non riesce spesso, perché ogni piccino ha la sua specifica personalità, ma si tratta comunque di un atteggiamento pericoloso da parte dei genitori.

Ma il rischio non è quello di desiderare un figlio perfetto, più mitico che reale?

Queste altissime aspettative da parte dei genitori sono errate. La pretesa di avere un figlio perfetto proviene da un clima culturale perverso, nel quale prevale il dominio sull'altro. In realtà un figlio non si sottomette, si educa. Ed educare implica un processo che darà i suoi risultati senza pretendere l'immediato riscontro. La caduta dell'idea di educare con pazienza, perseveranza, fiducia, capacità di attesa, speranza sta forse subendo un colpo mortale dentro ad un contesto sociale consumistico dominato dall'usa e getta, avvilito dall'idea di successo. La fantasia è che le persone sono al servizio dei nostri desideri e se non li

soddisfano, possono essere messe da parte ...

Oggi tra l'altro osserviamo che le attese di successo sono troppe e troppo concentrate su pochi bambini. Tutto ciò crea una miscela esplosiva nei rapporti familiari e interpersonali... La nostra è una società a misura di bambino? Devo dire che in verità la nostra società è a misura di bambino. O almeno lo è molto più di quanto lo sia mai stata. Oggi più di ieri, e quindi di sempre, il bambino ha uno stato di diritto che lo ha liberato dal "possesso familiare". Le madri un tempo dicevano: "Così come ti ho fatto, ti disfo". I padri educavano facendo paura e affermavano:

"Ti picchio per il tuo bene". Per fortuna nessuno - almeno apertamente - afferma più il diritto a essere così duro con il "suo" bambino.

La nostra società dunque sembra aver fatto molti passi avanti nella tutela dei più piccoli ... Il rispetto verso l'infanzia è una grande conquista del terzo millennio.

I bambini non possono più essere maltrattati, trascurati, abusati, fatti oggetto di ogni sopruso.

I bambini lavoratori, i bambini sfruttati, i bambini non scolarizzati, speriamo rimangano una piaga del passato. Una piaga che, si guardi bene, veniva legittimata da tutta la comunità e perciò ritenuta normale e naturale.

Ora invece se un bambino subisce delle ingiustizie il sistema di Tutela Minori lo protegge. Lo mette in salvo da genitori incapaci, fragili, maltrattanti. Perciò questa è la miglior società, almeno in Occidente, dalla notte dei tempi, per tutti i piccoli. Ora i bambini possono essere piuttosto iperprotetti, iperstimolati, talvolta sono costretti a vivere in un mondo accelerato e a sentire su di sé tante aspettative da assolvere, ma sono anche minori con tanti diritti. Primo fra questi il diritto ad essere educati e il diritto all'istruzione.

Certamente molte volte la famiglia si può lamentare della realtà scolastica attuale con tutte le sue falle. Ma non dimentichiamo che essa è aperta a tutti, che rappresenta il luogo privilegiato dello stare insieme agli altri bambini per imparare a vivere nel gruppo e godere del sapere collettivo. Queste sono grandi conquiste. Dobbiamo sapere che i bambini italiani sono figli di un mondo privilegiato dove banchi, carta, penne, colori - e non solo - non mancano a nessuno. La scuola, che è la casa dei bambini, è un luogo garantito a tutti.
Quali sono invece i rischi a cui la società contemporanea espone i bambini?

Forse la piaga che sta emergendo ora nella nostra società è la pedofilia. Anche la Chiesa non vorrebbe più tollerare il prete che approfitta sessualmente del bambino. L'emergere di questo problema richiede anche di mettere il bambino al primo posto, prima dell'istituzione sia essa la chiesa, la scuola o la famiglia: si tratta di una novità importante. L'abuso però può essere perpetrato anche a livello psicologico, all'interno della famiglia stessa. Ed esso avviene spesso quando l'eccesso di amore asfissia i figli, quando la libido non rimane dentro alla copia coniugale e si celebrano matrimoni mentali con il figlio che viene caricato di significati che lo trascendono.

In una società che si basa sull'immagine, i bambini rischiano di essere "usati" anche nelle pubblicità o di essere costretti a subire il peso di modelli irreali?

I bambini attraggono perché sono innocenti ma anche seduttivi e perciò la pubblicità li usa per sedurre attrarre i potenziali clienti. Molti spot "usano" l'infanzia anche per stimolare nei piccoli il desiderio di comprare determinati prodotti. Ma il genitore competente può sempre aiutare il figlio a capire che si può essere felici anche senza tutti i

prodotti propagandati dai media. Anzi forse questo bambino sarà più felice, perché meno alienato ..

Il mercato fa la sua parte, la realtà della coscienza soggettiva fa la sua. E in mezzo ci sta la cultura che permette di decifrare i possibili inganni! E per cultura si intende il sapere sulla genitorialità che nasce dal confronto, dalle reti tra famiglie, dalla solidarietà tra donne, dalla vicinanza tra le generazioni.

Cosa significa desiderare un figlio, aspettare un figlio, accogliere un figlio?

Il percorso che porta un uomo ed una donna a desiderare un figlio nasce nella storia familiare di ciascun coniuge e si sviluppa all'interno della loro storia di coppia. La coppia - più o meno consciamente - sente che la sua naturale progettualità è dare vita a qualcosa che prima non esisteva. È la spinta creativa dell'incontro tra diversità che avverte l'urgenza di uscire, di rendersi visibile, di farsi strada.

La diversità è generativa. E all'interno della relazione amorosa la strada più consueta è dare vita ad una nuova creatura, allevarla, farla divenire un uomo ed una donna. È l'essere in due che chiede di generare. In qualsiasi modo e in qualsiasi forma questo generare si possa esprimere. Il figlio generato diventa la forza d'animo per continuare a mediare le differenze, per negoziare le diversità, per dirimere i conflitti. Gli ostacoli non mancano, ma neppure le mille soddisfazioni di vedere il progetto procedere, seppur tra mille trasformazioni, adattamenti, innovazioni. Ognuno dei due genitori, se ne è capace, può trarre dalla crescita di un figlio una grande lezione di vita. Le parole rinuncia, perdita, sacrificio diventano leggere e foriere di soddisfazione. Lo sa ogni mamma che di notte si alza per tranquillizzare il bebè, lo impara presto ogni papà che chiude l' Ipod per giocare a palla con il suo bimbo.

Non c'è dolore in queste privazioni, bensì c'è la gioia di veder crescere chi si ama.

Oggi sembrano prevalere le proiezioni narcisistiche a danno di una reale accettazione dell'ingresso di una nuova creatura nella vita familiare?

In questi casi si tratta di un amore che non è più sano ma è alimentato dal bisogno di soddisfare se stessi, di stare bene a discapito del prossimo, di rompere ogni solidarietà con chi è fragile.

I genitori che avvertono il peso e non sopportano la fatica dell'allevare un figlio, lo devono al fatto che smarriscono il senso di farlo insieme - sposati o separati che siano -. Sono madri che provano invidia per chi ha figli, a loro modo di vedere, migliori del loro. Sono padri che vivono come un incubo la mortificazione di avere un figlio non vincente. Si tratta di genitori che patiscono per paura di cosa penseranno o diranno gli altri del loro figlio, inteso quasi come fosse un "prodotto".

Quali sono i bisogni principali di un bambino da 0 a 6 anni? Quali sono le difficoltà che incontrano i genitori di bambini così piccoli?

I bambini piccoli hanno bisogno del tempo dei loro genitori. Ne godono perché da loro sicurezza vedere i genitori a casa e non avvertire se stessi come precocemente abbandonati.

I piccini richiedono presenza, attenzione, dedizione e ne usufruiscono per raccontarsi con il gioco, comunicando con il pianto e con il riso condiviso, creando la struttura mentale con le parole di chi ha la possibilità di raccontar loro il mondo.

Dentro a questo primo elemento temporale avviene tutto il resto.

La dolcezza delle cure, la pazienza dell'insegnare, la pacatezza nel ripetere, la curiosità dell'ascoltare, la fermezza nel guidare entro i limiti. Ma senza tempo non si può, per esempio, sgridare un piccino al mattino e rivederlo a tarda sera. Quindi si lascia perdere. Senza tempo non si può tollerare un capriccio sapendo che poi finirà e si pone fine alla diatriba, cedendo. E si concede troppo. I figli allora perdono la guida e si sentono allo sbando.

I bambini per crescere hanno bisogno di regolarità dentro alla quale cresce il senso della regola.

I piccini quindi hanno bisogno di madre e padre per assimilare le basi del vivere.

Anche altri adulti, oltre ai genitori, possono contribuire all'educazione dei bambini molto piccoli?

Possono integrare questo lavoro nonni solleciti, tate amorevoli, educatrici professionali.

Quindi il problema di dare risposte ai bisogni emotivi dei piccini non è affare solo dei genitori. Una società, che vede sempre più entrambi i genitori lavorare, ha bisogno di un maggior numero di adulti di riferimento capaci di accudire con amore e con determinazione il piccino. La cura dell'infanzia, oggi, dunque deve essere assunta da una comunità allargata che deve cooperare, ascoltarsi, condividere, co-costruire spazi e tempi che garantiscano la crescita dei piccini.

Ai genitori spetta il compito di vigilare su queste figure educative, senza pretendere però di comandarle a bacchetta.

Il bambino fin dalla più tenera età sa regolarsi a seconda dell'adulto con cui ha a che fare. Il bisogno fondamentale del bambino è quello di sentire che gli adulti che si occupano di lui si rispettano tra di loro. Quindi uno dei nuovi compiti del genitore di oggi è prendersi cura dei legami tra gli adulti che si prendono cura del piccolo.

Quali sono invece le caratteristiche dei preadolescenti dai 6 ai 12 anni? Qual è l'atteggiamento migliore da parte dei genitori per aiutarli a crescere e a inserirsi nella scuola e nel mondo esterno?

La preadolescenza mette a dura prova madri e padri poiché hanno l'impressione di perdere il terreno conquistato. Il figlio, che era educato, diventa sboccato, distratto, scostante ... Il bambino che si lasciava guidare, non vuole ascoltare nessuna indicazione proveniente dai

suoi familiari. Il piccino che li guardava con occhi ammirati, adesso li osserva con occhi torvi. Per mamma e papà è dura. Dopo tanto lavoro, tutto sembra svanire. Ma non è così. Il figlio che è stato amato, sente tutta la fatica di staccarsi dalle braccia rassicuranti del padre e avverte una fitta dolorosa nel dover rinunciare ad essere "l'innamorato di mamma". Allora si svincola con prepotenza. E la necessità di staccarsi, gliela impone la sessualità nascente che, se colmata dalla vita domestica, diventerebbe incestuosa e lo chiuderebbe in un mondo asfittico. Allora il ragazzino cerca di agire con la sua testa. E magari prova a studiare poco, a dire qualche bugia in più per dimostrare a se stesso che è capace di stare da solo. E questo mettersi alla prova senza la protezione dei familiari, è un bene, lo fa maturare, lo rende responsabile di se stesso.

Se il genitore non va troppo in ansia, non lo tira indietro, non esige obbedienza acritica, non impone regole per la sua tranquillità, la parte più turbolenta della vita di un figlio passa e, un po' come le malattie esantematiche, finisce.

I genitori quindi devono guardare, osservare, stare a debita distanza, vigilare, ma non occupare lo spazio dei figli. Il difficile adesso che sono giunti alla soglia dell'adolescenza, è lasciarli andare fidandosi dello "zainetto" con cui li si è riforniti di onestà, voglia di vivere, attenzione all'altro.

Quali potenzialità dimostrano gli adolescenti di oggi?

Gli adolescenti di oggi sono molto belli. Affascinanti fuori per i loro look curati, originali, individuali. Affascinanti dentro perché quelli di oggi sono ragazzi che non hanno paura degli adulti quindi dialogano con madri, padri, insegnanti senza remore. E poiché la fase specifica richiede lo sviluppo della capacità critica, la determinazione a riflettere, il piacere dell'introspezione, dialogare con loro è un vero privilegio. Sono in linea di massima dei bravi ragazzi, amano fare progetti che li vedono cittadini del mondo, coltivano tribù amicali ricche di grande eterogeneità, si incontrano in più gruppi amicali. La ricchezza del loro mondo relazionale è il segno della loro maturità e la molteplicità dei linguaggi che usano per creare comunità, li rende capaci di spaziare nelle più svariate dimensioni sociali. Il web è la loro specifica conquista. Essere cittadini senza confini è la loro "divisa".

Quali problemi invece pongono gli adolescenti di oggi?

In questo mondo complesso e in continuo movimento i ragazzi che non hanno ricevuto a casa e a scuola basi sicure, possono però smarrirsi. Possono cioè rimanere piccini, pur abitando corpi adulti. E la loro paura di crescere può diventare voglia di distruggere e di distruggersi. Diventano allora violenti. Attaccano gli altri sentiti come ostacoli o si attaccano se stessi percependosi come impedimento alla propria realizzazione. Si danno la morte direttamente per fame o per l'uso di sostanze varie o ancora per "falsi" incidenti o danno la morte perché l'altro non è tollerabile nella sua autonomia. Bebè nell'animo, devono gestire corpi adulti e spesso non ne sono capaci perché nessun adulto glielo ha insegnato educandoli affettivamente. In questa cattiva gestione del corpo, si insinua la mercificazione dello stesso. E l'abbassarsi dell'età in cui ragazzine di buona famiglia lo vendono, sta diventando un vero e proprio campanello d'allarme. Ma ad ogni nuova baby escort corrisponde una stuoia di adulti che le usano. Ed è di questo che bisogna inorridire.

È importante riscoprire il ruolo guida del genitore capace di dire anche dei no?

Che i no aiutino a crescere, non c'è dubbio. I divieti offrono precocemente quell'esperienza di frustrazione dalla quale nasce la capacità di vivere creativamente entro i limiti che la realtà impone. Nessun genitore crede inutile limitare il figlio, il problema del farsi obbedire si pone nella forza d'animo con cui mamma e papà possono sostenere la rabbia che il figlio prova nei loro confronti quando si vede negare ciò che desidera. La paura di non essere amabili è il tallone d'Achille di genitori che concedono troppo ai figli, perché non riesco a sopportare il dolore che provano quando si sentono odiati, detestati, criticati.

Quali sono i compiti specifici della madre e quali quelli del padre per un migliore rapporto con i figli?

Il ruolo dei due genitori è oggi paritario. Ognuno dei due ama, consola, contiene e pone stop, sgrida, punisce. I padri materni devono saper accontentare e limitare i loro bambini, così come madri paterne devono saperli deludere e soddisfare. Ognuno agendo la regola e la determinazione a farla rispettare. In questo lavoro però un ruolo fondamentale, oggi più di ieri, lo hanno anche tutte le altre figure educative che, anziché criticare gli insuccessi dei genitori, dovrebbero affiancarli in modo da aiutarli a diventare meno fragili di fronte alla disobbedienza del bambino.

Ogni disappunto di un adulto verso un altro adulto, lascia varchi nel confine tra lecito e illecito. Se gli adulti non si rispettano, come faranno i bambini ad imparare il rispetto, la buona educazione, la capacità di non voler avere sempre ragione?

Quali sono le differenze principali nell'educare una figlia femmina o un figlio maschio nelle diverse età della crescita?

La differenza di genere rende più agevole la crescita del maschio che fin dalla nascita ama la madre e può continuare a sentirla come l'oggetto privilegiato del suo amore. La femmina invece pur all'alba della sua vita, essendo fusa simbioticamente dentro all'ambiente affettivo materno, ne esce precocemente per cercare di ottenere l'amore esclusivo del padre. Quindi la figlia rinuncia al primo amore e si avventura verso un nuovo innamoramento. Questo la rende più critica verso la madre durante l'adolescenza, epoca nella quale la sua rivalità con il corpo maturo materno, si fa sentire maggiormente.

Le madri quindi tribolano di più con le figlie femmine e i padri non sempre riescono ad aiutare la loro compagna. Questo essere coppia coniugale, oltre che genitoriale, aiuta anche i figli maschi a rinunciare alle lusinganti affettuosità della madre e a cercarsi l'innamorata fuori casa. I genitori quindi sono chiamati a deludere in modo da aiutare i figli a cercare altrove affetto, amore, completezza, soddisfazione. Amore. E alle volte è più facile deludere una figlia femmina in quanto padri, piuttosto che far soffrire un figlio maschio in quanto madri. I papà possono farsi ammirare perché amano il mondo esterno e trascinare con sé le figlie desiderose di occupare un posto nel mondo.

Oggi madri e padri consapevoli dell'eguale valore dei due sessi offrono inoltre pari opportunità di vita, di realizzazione, di studio a figlie e figli. E anche questa è una grande conquista dei nostri giorni. Fare il genitore dunque significa "partorire" più volte. La prima, assecondando la spinta imprenditoriale del bambino che esige di uscire dall'utero, perché ormai vi sta scomodo, e poi via via milioni di altre volte, assecondando la forza d'animo del figlio che vuole andare per il mondo.
Quale rapporto dovrebbero avere genitori e figli per superare insieme gli stili di vita imposti dalla società dell'apparenza? È giusto parlarne in casa, e come?

Più della parola vele vale l'esempio. I genitori che scelgono valori controcorrente basta che facciano "respirare" quest'aria in casa. E le domande caso mai sorgeranno spontanee dalla curiosità del figlio, il dialogo diventerà stile di vita, l'interrogarsi piacere di discutere tutti insieme. Non dunque sermoni, ma ricerca di senso, guidano l'analisi dei disvalori sociali, delle brutture e delle devianze proposte da un mondo complesso e in trasformazione. Credo che il genitore debba fare ciò che dice, più che predicare ciò che non pratica. Il resto viene di conseguenza.

Qual è oggi l'offerta dei servizi a supporto dei genitori, da parte del Comune di Venezia e dell'azienda Ulss 12?

Il sistema dei servizi erogati dall'Ente Locale e dall'Azienda Sanitaria ha sempre tenuto alla crescita delle nuove generazioni approntando interventi specifici che coprono l'ambito della prevenzione, della cura e della tutela del minore. E il minore non lo si può aiutare, se non si sostengono i suoi genitori. Su questo principio tutti sono concordi.

Molte dunque sono le offerte di interventi che vedono il minore come oggetto della cura, ma tutti questi dispositivi si occupano anche dei genitori, degli insegnati, della rete delle famiglie solidali, poiché aiutare un piccino significa dialogare con i suoi adulti di riferimento.

Il pensiero, che ha orientato la progettazione sia del Comune sia dei Servizi sociosanitari, è quello dell'integrazione, del mettersi insieme, del collaborare. Co-costruire progettualità - ognuno con le proprie competenze - ha rappresentato e rappresenta la filosofia che guida l'agire dei servizi nel territorio comunale veneziano.

Quanto conta per gli operatori lavorare "in rete"? Il concetto di "rete" è sempre stato nello spirito dei progetti approntati dagli operatori che si sono dedicati allo sviluppo dell'identità delle nuove generazioni, sia lavorando con i bambini sia sostenendo i loro genitori. Educare alla sessualità, farsi carico dei momenti di crisi dell'adolescente, affiancare il ragazzo affinché le vecchie e nuove dipendenze non lo risucchino, rappresentano i punti di forza della progettazione dei due Enti in collaborazione con il Terzo Settore in un'ottica di welfare sociale che non manca di conflitti, ma che orienta le azioni.

E nessun minore può dirsi realmente aiutato, se non si ascoltano, orientano, curano gli adulti che lo circondano. Perciò il lavoro con madri e padri vede costantemente occupati e pre-occupati gli operatori che incontrano le fragilità di tutti i figli

in crescita, ma anche dei ragazzini smarriti, arrabbiati, devianti, trascurai, maltrattati, abusati ... La famiglia dunque al centro dell'attenzione del sistema dei servizi affinché grandi e piccoli possano godere nei vari momenti di "crisi", cioè di cambiamento, del supporto di validi professionisti.

Possiamo fare alcuni esempi di servizi particolarmente interessanti per la loro offerta? Una decina d'anni fa ho contributo alla nascita dei "Laboratori relazionali" promossi dalla Fondazione Groggia in collaborazione con il Comune di Venezia e l'azienda sanitaria di Venezia. Esempio di co-costruzione progettuale e di collaborazione fattiva affinché le famiglie più fragili della città fossero aiutate nell'educazione dei figli.

In questi ultimi anni molto impegno si è profuso per i minori stranieri non accompagnati. Certamente sono giovani arrivati in Italia senza i genitori e tutti con legami familiari tranciati.

Ma nei servizi cittadini molto si fa per la famiglia adottiva, la famiglia affidataria, la famiglia solidale. La famiglia sociale diviene dunque un punto di forza dell'intervento del sistema pubblico e privato. Infine ci sono eccellenze come il Centro Prima Infanzia della Municipalità di Mestre diventano il luogo dove l'identità genitoriale trova sempre nuova linfa, sostegno, aiuto.

La crisi apre a nuovi scenari anche nelle famiglie? Quanto possono subirne i danni bambini e adolescenti?

La crisi fa perdere la prospettiva del futuro.

Ai genitori non è possibile immaginarlo.

Tutto cambia repentinamente e quasi nulla è prevedibile. Quindi a mamme e papà non rimane che offrire al figlio gli strumenti per affrontare quel che verrà. E perciò la flessibilità, la capacità di uscire da false verità, la rottura degli stereotipi diventano punti di forza dell'educazione in tempi di crisi. I genitori non possono accompagnare il figlio verso un mondo che non sanno interpretare, ma possono e devono aiutare le nuove generazioni a sapersi inventare creativamente una vita, qualsiasi siano le condizioni nelle quali si troveranno a costruirla.

La trasformazione della famiglia tradizionale in famiglia allargata, con separazioni e nuove unioni dei genitori, quanto incide e come sulla crescita dei figli?

La famiglia è ormai un concetto desueto.

I bambini crescono dentro a tanti tipi di famiglie. Quindi mamme e papà sanno che educano il figlio dentro ad un sistema familiare dalle strutture più svariate. E loro stessi potranno trovarsi a vivere lontani l'uno dall'altro, potranno incontrare altri partner con o senza figli, potranno costruire realtà familiare multietniche ... Ad ogni adulto del terzo millennio è quindi richiesta la modifica profonda dell'idea di famiglia. Se egli ci riuscirà, che viva sposato o no, che si separi e si ricostruisca una vita altrove, poco importa al figlio. Il bambino ha solo bisogno che i legami tra i suoi adulti di riferimento siano basati sul rispetto. È del rispetto che dobbiamo farci carico come adulti, non della forma della famiglia. Le separazioni coniugali dunque non sono che uno dei possibili esiti di una famiglia e possono essere metabolizzate dai piccoli di casa, tanto quanto i genitori rimangono tali, rinunciando alle guerre in nome del figlio. Il divorzio comporta un lutto poiché finisce un progetto, ma il lutto non devasta nessuno se è vissuto con la pacatezza del dolore intimo e non urlato.

 

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.