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Commenti

  • Paola Biasin ha scritto Altro
    Essere genitori e non amarsi: difficile!... Domenica, 14 Giugno 2015
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OGNUNO CERCA SEMPRE QUALCOSA NELL'AGIRE SOCIALE: QUALCOSA PER GLI ALTRI, MA ANCHE IL PIACERE DI VIVERE

Ritrovarsi con altri anche per riprendere contatto con le proprie emzioni

Nel mondo attuale l'incontrarsi tra più persone rappresenta la strada maestra per realizzare qualsiasi impresa. Desideri, sogni, speranze, progettualità spingono le persone a costituire dei gruppi di lavoro. Uomini e donne si uniscono perché sperano di realizzare ciò che da soli sanno non potrebbero mai raggiungere.

Mettere al mondo una squadra sportiva non basta

Stare insieme è un valore quando un maschio e una femmina si scambiano promesse, amore, progetti volendo diventare una famiglia. Nell'unione delle differenze di genere concepiscono ciò che non era. n figlio è dunque il rappresentante della progettualità comune.


Generare è anche la metafora di ogni progetto che viene immaginato, programmato e accudito. Mettere al mondo una squadra sportiva perciò non basta. Bisogna seguirla accettando i momenti bui, difficili, travagliati e godendo dei momenti gioiosi, soddisfacenti, felici.
Figlio, il generato, è dunque il nome comune di tutto ciò che non solo si concepisce, desidera e fa nascere, ma è la parola che indica il senso di ogni progetto che si voglia far crescere. Genitori spirituali, padri fondatori, soci anziani fanno parte di questo scenario generativo. Nel linguaggio comune tempo di incubazione, arrivare a partorire, tenere a battesimo, far crescere sono i motti che indicano la responsabilità non solo verso un figlio, ma anche verso un progetto.
È dall'amore familiare che nasce e cresce ogni bambino ed è dall'amorevolezza tra adulti che ogni progetto può realizzarsi. La pazienza, la benevolenza, la maturità affettiva devono temperare, giorno dopo giorno, la fatica dell'incontro.

La creatività cresce in team eterogenei

Co-costruire è una necessità per i professionisti che formano team eterogenei per alimentare la loro capacità creativa. Architetti innovativi, artisti all'avanguardia, allenatori del corpo e della mente di ogni tipi inventano nuove frontiere operative nei gruppi multidisciplinari che vanno via via costituendo.
Incontrarsi è anche un obiettivo che perseguono gli operatori che devono affrontare le fragilità sociali con minori risorse economiche rispetto alle epoche passate, ma con maggiore convinzione che il "fare insieme" sia oggi la vera ricchezza. Scuole e palestre con adulti cooperanti raggiungono mete inimmaginabili nelle realtà deputate all'apprendimento e alla formazione che vedono gli insegnanti, gli allenatori e i genitori competere, denigrarsi, fronteggiarsi con giudizi taglienti.
La rete tra servizi e organi giudiziari è, infine, la prassi per progetti complessi avviati a protezione dei più deboli. Incontrarsi tra sistema giudiziario e operatori del sociale è, infatti, la linea di demarcazione che chiude la diga di dolori travolgenti che patiscono i minori trascurati, violati e abusati. E tutti gli adulti che incontrano un ragazzo trascurato o maltrattato hanno l'obbligo non solo etico, ma anche giuridico di avvisare i Servizi sociali o la Procura dei minori.
Costruire gruppi di lavoro tra adulti è un principio che stanno scoprendo anche i cittadini qualsiasi. È nello scambio tra di loro vanno costituendo nuove reti solidali. Li vediamo unirsi per sostenere delle spese comuni, per occuparsi di anziani, per affiancare gli stranieri, per aprire doposcuola ... Di questo impegno, assunto da più adulti che si riuniscono per uno scopo comune, beneficiano però soprattutto i bambini e i ragazzi.
Famiglie solidali, educatori volontari, allenatori generosi, sportivi umani si occupano di bambini, ragazzi e adolescenti alla ricerca di una loro strada nella vita. Ma di questa generosità ne traggono profitto sia le vite dei grandi che quelle dei più giovani.

Il piacere lo si percepisce nel prendersi cura

Gli adulti, occupandosi dei ragazzi, ritrovano il piacere di educare, prendersi cura, accudire le nuove generazioni. E questo dà senso alle loro esistenze spesso tormentate dal dio danaro. La ricchezza che pare sempre insufficiente. L'obiettivo di fare soldi è quindi diabolico. Esso porta, nel migliore dei casi, a lavorare fino allo stremo per avere sempre più disponibilità economica o, nel peggiore dei casi, a smarrirsi in chimere come quella rappresentata dal gioco d'azzardo.
Le frasi "non ho tempo per incontrarmi con te, sono sempre occupato, vorrei partecipare ma ..." quindi demarcano la perdita del senso delle relazioni. Questo assottigliarsi del tempo per l'incontro umano alimenta inesorabilmente il senso di vuoto esistenziale. Per evitare questa deriva personale, familiare e sociale è necessario dedicare un tempo agli altri che poi equivale a dedicarlo a se stessi.
Affiancare l'allenatore, occuparsi delle trasferte della squadra, coinvolgere i familiari degli atleti, cercare sponsor o preparare la merenda per tutti stanno sullo stesso piano valoriale. Nel volontariato ognuno dà quel che ha.
La salute della persona, il benessere di una famiglia, la ricchezza emotiva, infatti, derivano direttamente dalla quantità e qualità dei legami sociali e non da quello che si può offrire.

L'agire sociale è dedicarsi alla propria salute psichica

Compartecipare con altri adulti a un'impresa sociale è dunque sinonimo di arricchimento dei legami con se stessi, con i propri cari e con le nuove generazioni.
L'agire sociale non è pertanto solo un atto di volontaria donazione altruistica, ma è soprattutto un dedicarsi del tempo per mantenere la propria salute psichica.
Adulti che volontariamente si dedicano alle attività del tempo libero dei ragazzi in realtà offrono a se stessi l'opportunità di sentirsi amati, considerati, stimati ... E questi vissuti se non allungano la vita, perlomeno ampliano il senso dell'esistenza.
Ecco allora che l'allenatore di una squadra sportiva non solo aspetta con trepidazione la partita dei suoi ragazzi, ma mantiene fede anche all'impegno di lavorare con gli altri adulti che
condividono l'impresa, il tifo, il desiderio di far giocare bene i ragazzi. Beneficerà quindi anche dell'amicizia di molti genitori che lo terranno in grande considerazione alimentando la sua autostima. Infine tra trasferte e cene dopo la partita o dopo l'allenamento avrà un ricco gruppo di riferimento.

Una forte spinta a superare sentimenti infantili

In ogni impresa fare squadra è la carta vincente poiché genera salute psichica. É questo un benessere che viene trasmesso a chi divide, compartecipa e realizza il compito che ci si è dati.
Divenire un gruppo è un' esperienza che chiede di maturare le proprie competenze emotive. Non si può stare con gli altri alimentando sentimenti infantili. Per condividere un'impresa è necessario abbandonare piccinerie e, sotto la pressione dello scambio umano, comportarsi in modo adulto. Lavorare tra adulti è dunque una grande opportunità per crescere, ma è anche una situazione nella quale è necessario maturare delle competenze sociali.


Per fare gruppo bisogna saper vivere in un gruppo.

E per partecipare a un collettivo è necessario saper sopportare il limite imposto dalla presenza dell'altro.
Non si è adulti se non si è imparato che al piacere della compagnia corrisponde anche la mediazione dei conflitti dovuta alla diversità.
Non si è maturati se si crede onnipotentemente di poter sottomettere chi ci è accanto dominando la scena come bimbetti bizzosi.
Non si è grandi se non si è responsabili delle parole che si pronunciano sapendo argomentare le proprie ragioni in modo educato e rispettoso.
Non si è educatori se non si sa perdere accettando la sconfitta che alimenta la determinazione a fare meglio.
Il gruppo alimenta queste competenze emotive, ma le mette anche fortemente alla prova. Imparare a tollerare il limite imposto dall'altro rendendo sopportabile il dolore, il rammarico, il dispiacere che inevitabilmente le differenze comportano allena alla vita lavorativa, familiare, sociale.
E quel travaglio affettivo addomesticato rende possibile non solo rimanere seduti nel cerchio dell'associazione sportiva alla quale si è aderito, ma anche andare al lavoro con minor stress da contatto con superiori e colleghi e infine, ma non da ultimo, a saper vivere in famiglia senza sentirsi troppo scontenti, insoddisfatti e infelici.
Educare le emozioni durante le attività del tempo libero diviene dunque opportunità per allenare i vissuti negativi alimentati dalla presenza dell'altro. Saper far fronte allo stress posto dalla convivenza induce a non ritirarsi dalla scena sociale.
In gruppo si crea e solidifica non solo il progetto educativo, sportivo, imprenditoriale, ma si consolida anche la propria persona. Ecco una storia vera.

Maria Vittoria va con la squadra fuori città

Maria Vittoria è una donna di mezza età provata dalla vita. Un padre morto d'infarto quando lei era giovanetta. Una madre vinta dal lutto e mai più vitale. Un fratello che ha lasciato precocemente la vita con una siringa conficcata nel braccio. Una sorella morta in giovane età per un brutto male. Solitudine, sconforto e amarezza la portano a frequentare con serenità solo il piccolo cimitero nell'isola di San Michele a Venezia. Lì, isolata dal mondo esterno, contornata da una laguna rassicurante, seduta tra le tombe dei suoi familiari trova un po' di pace. Lì i suoi fantasmi devastanti si placano. Si contorna di un silenzio pacato mentre dedica ore e ore al giardino che ha costruito attorno alle lapidi dei suoi cari.
Ma la sensazione che la sua esistenza sia troppo dolorosa la rende inquieta e arrabbiata. Il suo corpo un giorno la tradisce. Un'importante malattia la porta in ospedale per lunghi mesi. Lì incontra le insegnanti volontarie che si occupano dei bambini del reparto oncologico. Lei, maestra di mestiere, si dedica a loro nel tempo della sua degenza. Ma poi torna tra i lettini dei suoi nuovi amici perché lì si sente bene. Maria Vittoria è passata dal cimitero all'ospedale e, grazie all'incontro con il padre di un giovanissimo degente, passa dalle corsie ospedaliere alla palestra della periferia degradata della sua città.
Inizia a frequentare come volontaria la palestra gestita da questo giovane signore. Segue i bambini difficili e li aiuta a giocare in gruppo. I piccoli monelli sentono il bisogno di amore che emanano i "pori" di Maria Vittoria. Speranze, necessità, aneliti che rappresentano il loro medesimo bisogno d'essere amati per ritrovare la speranza di vivere. Le emozioni reciproche comunicano in silenzio, passano affettuosamente il confine soggettivo, diventano giorno dopo giorno empatia profonda. I vissuti degli uni curano quelle degli altri.
E Maria Vittoria, un giorno qualsiasi, va con la squadra fuori città per un piccolo torneo. E passa dalla palestra alla vita all'aria aperta. La sua tormentata vita ritrova il piacere di un sorriso, l'aspettativa di una speranza, il valore di un senso esistenziale condiviso.

Juvenilia gennaio marzo

Incontri

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Maggio 2024
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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.