Prefazione a FUGGIASCHI
Agostino Racalbuto, neurologo, psichiatra e psicoanalista SPI è anche professore di Psicologia Dinamica all’Università di Padova.
Passioni
"Il bambino piange perché ha fame, perché ha sonno e il genitore interviene.
Se piange il ragazzo talvolta nessun adulto può intervenire perché la frattura è già avvenuta, e la morte si è instaurata.
Beato allora l'adulto, e beati i giovani vicini, che riesce a trovare il bambino e il giovane dentro di sé"
(Tilopa, maestro tibetano di Tantra)
Un libro sull'adolescenza, che intenda parlare dell'adolescenza è sempre una scommessa. Perché l'adolescenza, un'epoca di transizione, di confine fra l'infanzia e l'età adulta, sfugge ad ogni definizione che non sia quella che spesso si accompagna a ciò che non è ancora "né carne né pesce", e quindi paradossalmente ancora indefinito.
L'adolescenza è infatti mutevole per natura, proteiforme come il periodo più "isterico" - in senso fisiologico - della vita. Pur essendo quindi l'adolescenza un'epoca circoscritta dell'arco dell'esistenza di ogni essere umano, essa si manifesta in maniera singolare per ogni adolescente che cerca una propria identità, che declina la propria esperienza in maniera tale da poter essere proprio quella persona là, distinto dalle altre.
All'inizio del ventunesimo secolo, assistiamo ad almeno due fenomeni di rilevante consistenza per ciò che concerne l'adolescenza. Il primo è quello che può essere intravista un'adolescenza protratta, dato che i conflitti tipici adolescenziali nella loro non avvenuta strutturazione persistono in sempre un maggior numero di individui ben oltre il periodo di tempo che usualmente è stato considerato tipico dell'adolescenza. Il secondo, logico corollario del primo, è che forse l'adolescenza come periodo specifico di vita dalle sue specifiche accezioni e funzionamenti psichici tende un po' a scomparire.
E' chiaro che queste affermazioni possano apparire paradossali e provocatorie, ma esse hanno lo scopo di indicare la diluizione delle caratteristiche che fanno dell'adolescenza un'esperienza di vita circoscritta. I disturbi narcisistici, le inibizioni evolutive, le tossicofilie, i disturbi protratti anoressici e bulimici, quelle situazioni psicopatologiche che sono state indicate come casi limite, sono tutti ambiti che con l'adolescenza hanno qualcosa in comune. Certo non bisogna confondere la psicopatologia a cui si è fatto riferimento con l'adolescenza come normale processo evolutivo, ma ci sono alcune caratteristiche analoghe fra i due ambiti.
Gran merito perciò di Scalari e Berto è quello di metterci a contatto con "storie" vive di adolescenti, come a rammentarcene l'esistenza, a testimoniarne la tipicità, a delinearne una rintracciabilità ancora possibile. Storie adolescenziali nel contesto del "mondo" della scuola, storie fatte di connessioni fra l'individuo in crescita, con la sua mente e il suo corpo, e la trama sociale entro cui vive.
Si tratta di un libro dove la passione adolescenziale si staglia sovrana.
Sappiamo che in un'epoca di consumismo e di aspetti scontati, dove sembra che tutto venga omogeneizzato e si appiattisca, la passione restituisce spessore affettivo all'e¬sperienza. E ciò benché la passione che gli adolescenti vivono rimandi comunque spesso alla sofferenza e finanche alla morte psichica possibile; benché dietro ogni adolescente la passione possa far correre all'io il rischio serio di un naufragio pe¬ricoloso; benché possa essere a repentaglio la crescita stessa dell'individuo.
L'adolescenza è la "summa" passionale della vita.
Mai come quando si parla di adolescenza occorre infatti evocare lo psicolo¬gico e lo psicopatologico, il biologico, il sociale e la culturale, le rinnova¬te identificazioni e lo slancio d'investimento tutto nuovo, il corpo, il pensiero, il sentimento, il tempo di una fioritura e lo spazio di un'instabilità che è allo stesso tempo la debolezza del bambino che stenta a crescere e il desiderio di affrancamento di chi aspira a diventare grande. E la crisi, la classica crisi dell'adolescenza, arriva a farci interrogare, a porci domande non sempre solubili, come se ci fosse un'adolescenza senza cri¬si. E' preoccupante osservare un'adolescente senza crisi, senza crisi passionale, come lo sarebbe osservare un bambino andare in asilo per la prima volta, o sottoporsi a esperienze di individuazione-separazione senza fare una piega, come se tutte le situazioni fossero uguali per lui, e non potesse dunque fare la differenza fra familiare ed estraneo.
L'adolescenza è infatti un'epoca passionale di divoramento, un'epoca in cui ad essere divorati sono gli altri diversi dalla famiglia da un canto, gli estranei, e anche quelli della famiglia dall'altro, in un paradossale furore dove spesso sembra che bisogna sgombrare il campo per percorrere l'agognato processo di soggettivazione; divo¬ramento forsennato di sapere, di affetti, di esplorazione, di conoscenze e di oggetti, evidente¬mente il tutto coniugato spesso caoticamente con l'inverso, cioè con l'angoscia, di individuazione e di separazione, e con le inibizioni, con i ritiri narcisistici e con l'isolamento. E cosa dire della sessualità che accompagna la nuova nascita adolescenziale, rina-scimento dopo il medioevo della latenza? Cosa dire di quella sessualità vivace che si caratterizza per il fiammeggiare della passione e delle derive identitarie? L'adolescente è percorso da un "troppo" come elemento che informa la sua esperienza. Troppo vicino, troppo lontano; troppo buono, troppo cattivo; troppo attivo, troppo passivo; troppo corpo, troppa mente; troppo caldo, troppo fred¬do; troppo tutto e troppo niente Ciò che caratterizza la passione e l'adolescenza è il troppo; ciò che è proprio dell'adolescenza in questo senso è di vivere troppo in presa diretta, nuova e immediata, con questi "troppi" che improvvisamente dilagano, che scompaginano le certezze faticosamente conquistate, che alimentano le incertezze sopraggiunte, che insidiano relazioni, convincimenti, idee, credenze. L'avidità oggettuale prevale, anche a rischio della scoperta narcisistica di sé e nella difficile coniugazione del conflitto edipico, a scapito della necessità di operare psichicamente la distinzione dei sessi e il riconoscimento del progetto di vita all'interno delle differenze di generazione. La scoperta adolescenziale può essere coniugata nel senso di acquisizione, ma anche nel senso di andare allo scoperto, di esporre il narcisismo a tutti i pericoli e di snervarsi in questa corsa alla ricerca di oggetti e di possibili soggettivazioni.
L'adolescenza conosce perciò tutti i caratteri del¬la passione.
Ci vuole poco perché la passione diventi mortifera e l'adole¬scenza si spezzi nell'incidente o nel ripiego regressivo, nella rinuncia alla vita e al piacere o nella dipendenza tossica, non solo a "sostanze".
Fin dal primo racconto presente nel libro, Solitudini sospese, le vicende adolescenziali si muovono fra l'autonomia e la dipendenza, fra la legalità e l'illegalità, la sessualità lecita e quella trasgressiva, l'avventura e la speranza, la promozione e la repressione. Appare la lotta generazionale, la contesa fra docenti e genitori, la rivalità fra ruoli educativi. Ognuno, adolescenti, docenti, genitori alla ricerca di una funzione non sempre chiara e non sempre stabilizzata. E già, perché parlare di adolescenti comporta implicare chi inevitabilmente con gli adolescenti ha a che fare, non solo in quanto genitore, educatore o altro in rapporto all'adolescente, ma in quanto portatore di un'adolescenza "interna", cioè di un vissuto - conscio o inconscio - che con l'adolescente interagisce in quanto rappresentante di altro, ma anche come elemento che proietta sull'adolescente aspetti di sé. Con ovvi risultati, più o meno "buoni", più o meno "cattivi", a seconda del tenore e della qualità della relazione in causa, ma anche del "mondo interno" adolescenziale che abita dentro ognuno dei componenti delle relazioni, adolescente che sia o no.
La visita ai magazzini Lafayette, la notte brava a Pigalle, il pomeriggio a Montmartre, la crepe consumata sulla torre Eiffel, la gita con colazione in bateau mouche sulla Senna, sono tutti momenti di vita adolescenziale (E' sempre la solita musica), che fra l'anelito di libertà e di autonomia e l'inquietudine di essere lasciati soli (si può dire "abbandonati"?) tratteggia pennellate di vita adolescenziale.
I disturbi dell'alimentazione, la voce di un linguaggio corporeo che dice e non dice di conflitti pensabili nella coscienza, la fuga da un mondo persecutorio, l'impossibile di un desiderio di perfezione, fanno della "Fuggiasca" un racconto che apre uno spaccato di vita su un'altra dinamica tipica della particolare passione adolescenziale; fare i conti col proprio corpo che cresce, si modifica, con quello che di questo corpo rimanda alle relazioni oggettuali interne, sulla scorta dei processi di individuazione-separazione, propri di un primo nucleo d'identità accettabile o meno, e di quelli riguardanti il conflitto edipico, dove l'identità di genere è più in gioco.
In tutti questi casi il soggetto adolescente in preda alla pas¬sione è sottomesso a una tracimazione pulsionale, con la conseguenza di un recupero di affetti che vengono a met¬tere in discussione gli effetti della rimozione; finché la passione ha luogo non c'è infatti dimenticanza, non c'è oblio. Ma non c'è passione senza "pulsione", potremmo dire, senza quella pulsione che è spinta inesauribile e continua.
Con la passione è infatti in scacco anche la temporalità, il tempo critico per l'adolescente, come in uno stato in cui prevale il vissuto d'eternità: non è forse il "per sempre" che caratterizza la condizione passionale degli stati di innamoramento o di disperazione dove la passione campeggia?
E allo stesso tempo la passione, pur fuori dal tempo, è spesso vissuta come esperienza momentanea, al contrario del sentimento d'amore che è invece considerato come "processo" psichico. Si potrebbe sottolineare come la passione debba tramutarsi in amore perché la valenza narcisistica presente in ogni adolescente possa modificarsi in capaci¬tà d'amore oggettuale.
Ma non c'è l'amore appassionato? Non c'è la possibilità che il legame creato con l'altro, an¬che tramite l'altro, proprio grazie a questa capacità di og-gettualizzazione in sé, nel proprio intimo, restituisca il rischio che ogni vita comporta, aperta com'è al conflitto fra Eros e Thanatos, esposta com'è alle gratificazioni e alle frustrazioni, alla felicità e alla sofferenza, al dibattito fra unione e separazione, fra presenza e assenza, fra 'troppo' vicino e 'troppo' lontano?
Gli Autori ci mostrano come l'adolescente incarni questo rischio e lo viva - più o meno consapevolmente- non solo sulla propria pelle, ma anche in relazione al proprio ideale e al ruolo che si è ritagliato fin dall'infanzia. Lo vive di fronte al mancato riconoscimento, alla delusione ad esempio di non potersi sottrarre ad essere quel "bravo" ragazzo che deve essere per non deludere a sua volta i propri genitori e per non sottrarsi al copione che è stato designato per lui.
Ricominciamo da tre riguarda proprio un argomento del genere, dove la mente adolescenziale si scontra con l'evento di disconferma del sé, di ingiustizia subita, che prelude al crollo narcisistico da un canto, ma anche all'amore per la verità dall'altro, di fronte all'esigenza di essere quello che ci si sente di essere, piuttosto che quello che vogliono gli altri. In questa "arena", dove si possono fare alleanze pericolose, si dice nel testo, per l'adolescente "si sfracellano tutte le mie riflessioni, finiscono tutti i miei pensieri, muoiono tutte le mie parole".
Come l'altra adolescente (L'altra verità): "Mi fermo. Incerta. Insicura. Indecisa.... Sola. Spaventata. Sfiduciata. Mi sento respinta. Oppressa. Osteggiata. Oscurata". Un'adolescente che presentifica un mondo dove essere bravi a scuola può nascondere altri conflitti, altre sofferenze e dove addirittura essere encomiati diventa un modo per sentirsi misconosciuti in altre più angosciose verità identitarie e conflittuali. Un'adolescente che può mostrare la corda quando è l'ora di affrontare le perdite oggettuali e le perdite del sé (i privilegi infantili, il corpo non sessuato, ecc.) e mostrare la sofferenza (Elogio del tempo sprecato) nell'affrontare lutti penosi.
Non c'è dubbio che il mondo scolastico costituisce per l'adolescenti un palcoscenico speciale dove poter sviluppare le proprie risorse, ma anche un luogo per esprimere i propri conflitti, esternare le proprie angosce. Non è in gioco infatti solo l'esercizio dell'intelletto, ma tutta una complessa rete di relazioni con i loro coetanei e con le figure di "educatori" che dovrebbero aiutarli a crescere, e ai cui modelli identificatori finiranno - più o meno - con l'ispirarsi.
Anche l'adulto può essere preso dal suo narcisismo e venire meno al suo ruolo "genitoriale. Anche per lui l'incontro passionale può essere un incontro di aggrappamento emotivo, per carenze personali o per necessità com¬plementari; se la carenza è legata alla necessità di un rispecchiamcnto narcisistico, il soggetto è vittima del possesso e della confisca appropriativa dell'altro, il che riconduce a una indistinzione di fondo fra il soggetto e la sua immagine: l'oggetto, in quanto alterità, è alla resa dei conti miscono¬sciuto. Si può allora prospettare che il destino dell'adolescente dipenda anche dalla possibilità che il contenitore "adulto", fra cui quello della scuola, non incappi in queste derive narcisistiche; e sia invece un contenitore "elastico", capace di promuovere eventi trasformativi finalizzati alla crescita maturativa dell'adolescente, dove l'esperienza rela¬zionale permetta di vivere, integrare ed elaborare i con¬flitti che ogni alterità prospetta. Dobbiamo infatti ricordarci che l'intensità e la ricchezza affettiva dell'adolescente, la spinta alla crescita, non sono di per sé disgiungibili da una forza di distruzione, di cui ogni adolescente è portatore in un certo modo; ogni rinnovamento, per costruire, non può che perdere, saper perdere, e per¬ciò, almeno in un certo senso, accettare di distruggere; ogni nuovo investimento d'oggetto non può che comportare, per essere veramente tale, un disinvestimento. Infiam¬marsi, entusiasmarsi per un progetto, un'idea, un nuovo modello d'identificazione, insomma per un "altro", comporta sempre la ria¬pertura di una ferita, tanto più profonda e dolorosa quanto più la condizione traumatica è radicata nel profondo dell'anima di ogni individuo, cioè alle radici della sua esi¬stenza, la necessità che per vivere bisogna sempre fare i conti con gli "altri". Né si può trascurare che si tratta di un'accensione, di una fiamma, quando la vita è passione; e il fuoco può bruciare, può essere deva¬stante. Per questo chi si occupa di adolescenti, genitore, docente, educatore, psicoterapeuta, deve essere esperto di opere di distruzione, deve essere in grado di cogliere queste "opere", non solo per non scottarsi ed esserne distrutto, ma anche per indicarne o testimoniarne l'aspetto vitale, la molla propulsiva. Quella molla insita nella possibile integrazione di ogni piccolo "io" isolato e il gruppo che lo ospita nel contesto sociale; implicita nel raggiungimento dell'incontro, e anche dello scontro reale, fra generazioni differenti, per quella conquista sociale che, citando il Faust di Goethe, l'importanza di poter "raccogliere l'eredità dei padri e farla propria".
Il mondo in subbuglio dell'adolescente, per sua natura, ha bisogno di identità solide e mobili al contempo, per non disperdere pensieri e emozioni che altrimenti costituirebbero una emorragia narcisistica; una perdita autentica del sé, una mancanza di possibile soggettivazione, una talvolta misconosciuta richiesta d'aiuto che un'adolescente in trattamento psicoterapico paragonava al quadro di Munch, l'Urlo.
Fuggiaschi allora ci fa vedere l'affettività passionale dell'adolescente, tipica dell'adolescenza, ma presente in una certa misura in tutte le epoche della vita, come in continuo oscillamento fra "ripiego narcisistico" e "capaci¬tà di rinnovamento", fra aspetti destrutturanti che in un'afosa ripetizione reificano mortalmente il passato doloroso e aspetti strutturanti che prendono, sanno vivere, le distanze, e aprono al futuro.
Tutti sappiamo che l'adolescenza è caratterizzata dal riacutizzarsi di una tensione conflittuale e relazionale; conflittuale fra separazione e individuazione' e all'interno del¬la conflittualità edipica, relazionale in quanto possiamo considerare, con Freud, che il conflitto originario è fra l'io e l'oggetto, proprio in quanto "esterno", in un precoce conflitto d'alterità di cui si ritroverà la traccia per tutta la vita. Ma la vita stessa è allora conflitto; senza conflitto non c'è apertura alla relazione. Proprio per questo l'adole¬scenza è così significativa ed emblematica per la passio¬ne, proprio per questo la conflittualità che si risveglia nel¬l'adolescente costituisce il "fermento" della vita psichica, una nuova possibilità da giocare nel campo dell'esperien¬za identitaria e relazionale di ogni essere umano. Come dire che non c'è crescita, non c'è rinnovamento senza cri¬si, senza passione; non c'è crescita senza perdita, senza separazione, senza ricusazione parziale anche del più amabile modello genitoriale, educazionale. Non si può infatti crescere se non differenziandosi, recuperando una propria singolarità,.
Gli educatori a cui è rivolto il libro, valido ovviamente anche per ragazzi e genitori, per famiglie insomma, dovrebbero essere consapevoli di quale significato vitale per ogni adolescente è portatrice la separatezza, di quanto accompagnamento è necessario per consentire all'adolescente di "fare il lutto", di elaborare cioè quelle perdite che ogni adolescenza inevitabilmente comporta.
L'adolescente per vivere ha bisogno di stringere legami essenziali per la loro vita. L'adulto che si occupa di lui è un fautore, un promotore di questi legami e pertanto ha una grossa responsabilità rispetto al destino dell'adolescente, rispetto al progetto di vita che ogni ragazzo saprà e potrà fare, lungo il cammino che lo ha condotto a confrontarsi e a scontrarsi con quelle figure di educatori che la vita gli ha riservato.
La proposta del libro è semplice. Invita a dialogare; il libro stesso, fatto di parole scritte, è di per sé una proposta di dialogo. Ma invita anche a dialogare con quelle parole parlate che nel sociale della famiglia e della scuola rappresentano il mezzo privilegiato per mantenere legami, per esprimere emozioni e affetti, per reperire interlocutori possibili attraverso cui sentirsi in relazione, fra mondo interno in subbuglio e mondo esterno in grado di fornire appoggio e stabilità. Le passioni violente, gli angosciosi lutti, la necessità spasmodica di fare gruppo, le esperienze di angosciosa solitudine, le multiple relazioni in rapida successione che si possono intraprendere, i destrutturati abbandoni (agiti e subiti) fanno dell'adolescente una persona in grande fermento. L'adulto che gli sta accanto è chiamato a un'opera di dialogo rispettoso, a un'opera di contenimento, a un intento di bonifica delle intossicanti emozioni che pervadono l'adolescente. Solo gli adulti che avranno a sufficienza risolto i loro conflitti adolescenziali, senza rimuoverli troppo, solo gli adulti che non avranno quindi relegato in un oblio difensivo il loro essere (stati) adolescenti potranno accostarsi ai giovani in subbuglio con prospettive e possibilità di successo.
Fuggiaschi costituisce per questo un tentativo encomiabile di dialogo.
Scalari e Berto ci offrono una sorprendente ed importante testimonianza di come pensare gli adolescenti, riconoscerli, dialogare con loro sia in fondo ritrovare il mondo adolescente che è dentro ogni adulto e aprire in questo modo un dialogo fecondo con l'altro che è in noi, e solo a questo patto con l'altro che è l'adolescente con cui ci relazioniamo.
Un dialogo che, se efficace con gli adolescenti che ne saranno interlocutori, è maestro di vita.
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