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Individuo Gruppo Comunità

Divenire se stessi
Diventare una persona. Essere capaci di stare dentro alla propria pelle. Avvertire nel mutare del tempo il senso di continuità. Transitare dalla vita gruppale alla solitudine esistenziale. Aprirsi alla ricerca della propria unica ed originale identità. Stare con gli altri senza sentire minacciata la propria individualità. Sono questi i movimenti emotivi che ogni figlio affronta per uscire dal bozzolo domestico e trovare il modo di svincolarsi, affermarsi ed esistere.

Sentirsi unici al mondo crea però in maniera crescente un senso di panico inspiegabile, di ansia incontrollabile e di inquietudine diffusa.

Eppure solo l'accettazione del senso di solitudine esistenziale offre quella specificità di cui l'essere umano ha bisogno per tranquillizzarsi, rappacificarsi e sentirsi sicuro.

Molti ragazzi compiono con scossoni, ma anche con determinazione questo transitoe approdano alla tarda adolescenza con spavalderia, ma anche con una originale idea della loro vita.

Sono gli adolescenti che popolano il mondo attuale. Belli esteriormente e interessanti interiormente. Capaci di vivere la loro esistenza spesso anche lontani da casa poiché sanno vivere con se stessi e con gli altri senza appoggiarsi al consueto, al conosciuto, allo scontato.

Sono ragazzi che studiano fuori casa, visitano il mondo, moltiplicano relazioni virtuali e concrete con i coetanei di tutto il mondo. Felici di sentirsi se stessi possono stare bene ovunque e con chiunque. Possono discutere con gli adulti senza timori reverenziali, muoversi nel mondo senza angosce separative, imparare le lingue del globo senza avvertire l'attenuarsi della loro lingua madre. Amano e sono amati potendo godere di uno spazio di movimento ampio senza smarrirsi. Sono stati amati e aiutati a divenire se stessi secondo le loro specifiche inclinazioni. Ora sanno chi sono e quindi stanno bene ovunque e con chiunque.

Gli adolescenti cresciuti dentro a circonferenze familiari non soffocanti, inglobanti, appiccicaticce godono di una libertà esteriore ed interiore che li accompagna nel mondo.

La gioventù, quindi esplora lo spazio oltre il suo confine familiare in modo sempre più vasto poiché rappresenta una generazione che ha a disposizione tecnologie, mezzi, opportunità per superare orizzonti che per i loro genitori erano difficilmente immaginabili.

Consapevoli di se stessi si muovono nello spazio senza alcuna resistenza emotiva. Crescono cambiando in continuazione status, look, contesto di appartenenza senza timore di non esistere più.

Il concetto di spazio e di tempo in loro si è modificato rendendoli soggetti con delle identità sempre più aperte e solide. Lo spazio vivibile è maggiormente esteso, il tempo per modificare le situazioni è sempre più contratto. E questa opportunità chi la può godere la utilizza per essere sempre più soddisfatto, arricchito, forte. Ma chi invece non è stato fornito dalle sue relazioni familiari ed educative della capacità di sentirsi intero rimane bloccato nei suoi angusti mondi, nei suoi spazi ristretti, nel suo vuoto progettuale.

I ragazzi felici sono divenuti cittadini del mondo sia come globe trotter sia come esploratori del web, quelli infelici invece sono alle prese con la ricerca di cancellare la diversità, l'apertura mentale, l'incontro con ciò che è sconosciuto. Si sentono estranei a se stessi per via dei cambiamenti psichici e fisici e non si incontrano con se stessi, non dialogano con la loro diversità, non accettano questo scambio con chi ancora non conoscono. Vogliono rimanere i bimbi accuditi dentro al mondo familiare, vogliono che il corpo rimanga quell'oggetto gestito e ammirato dal genitore, anelano a non affrontare nessuna responsabilità rivendicando attenzioni anche con atteggiamenti eclatanti.

Ragazzi smarriti
I ragazzi che non sanno transitare dall'identità confusa, che si appoggia su un sentire indifferenziato, a quella scelta, che si regge sul pensiero soggettivo, faticano a divenire autonomi e, spesso, usano modalità provocatorie per interpretare il ruolo adulto.

I segni dell'infantilismo, camuffato da false grandiosità, si esprimono in maniere molto diversificate. Tutti hanno però in comune un modo di agire impulsivo, insensato, irragionevole.

Il ragazzo non sa ponderare le sue azioni con il ragionamento non ha una mente pensante, ma è preda di un ideare colloso che si attacca qua e là pur di non sentire il solitario confine della sua identità.

Il facile passaggio all'atto sottolinea la scarsa evoluzione del pensiero, della riflessione e dell'introspezione. Sono queste delle azioni che richiedono un poter stare soli con se stessi. La dimensione di solitudine esistenziale non è però praticabile da chi si sente sempre bisogno di rimanere fuso con qualcuno. Questa confusione dei confini soggettivi sposta facilmente da dentro a fuori ogni senso di colpa e con esso ogni possibile assunzione di responsabilità.

In questi giovani tra sé e l'altro non è andato costituendosi il limite che differenzia, è fallita dunque la fuoriuscita dal magma familiare, è andata altresì perduta l'occasione di interagire con i coetanei nei gruppi dei pari. É venuta meno la crescita.

La persona immatura pensa sempre che l'altro debba comportarsi come vuole lei e colloca all'esterno tutto quello che rende infelice la sua vita. Questo meccanismo svuota la persona in quanto le fa deporre i suoi contenuti psichici dentro agli altri lasciandola confusa su chi sia lei e chi siano le persone che le stanno accanto. Rimarginare la realtà interiore implica un'operazione di differenziazione che non sempre l'adolescente riesce a portare a termine entrando così nell'età adulta. Questo traguardo infatti è impossibile per chi non può pensarsi diverso da chi lo circonda, non sente mai che la sua vita se la sta costruendo, non riesce a divenire artefice della propria esistenza.

Il senso di colpa che questo essere umano proietta sui sui simili satura via via tutti i rapporti facendo agire il giovane come un fuggitivo. Egli avverte coetanei ed adulti come soggetti persecutori, cattivi, intolleranti, insensibili. Sta male per questo e fa del male per questo.

L'adolescente sente di non poter godere di nessuno scambio in quanto il legame relazionale è possibile solo se si va a costituire il valore del sentirsi differenti.

Ma chi non matura odia la diversità, la vive come minacciosa, la denigra, la vuole condurre a sé, la usa, l'attacca, la schernisce rendendosi non amabile. Viene quindi evitato ed evita tutti non appena ne scopre le differenze di stile di vita, di visone del mondo, di sensibilità affettiva.
Il ragazzo si chiude dentro di sé, alle sue convinzioni, alle sue visioni del mondo. Questa chiusura lo lascia affamato d'amore, d'affetti, di rapporti umani. La fame emotiva diventa insaziabile. Cerca a casaccio nutrimento affettivo inventa. Ma egli nons a procurarselo perché incapace di rapporti con la diversità. Alla fine avverte un senso di disgregazione interiore che si trasforma in tristezza, depressione, pazzia.

Ma la persecuzione non è una dimensione esterna, bensì il segno della mancata capacità di maturare.

Compito degli adulti educatori che incontrano questi giovani smarriti nell'ambiguità tra soggettività e collettività hanno allora il compito di aiutarli a trovare la strada per differenziarsi, separarsi, individuarsi. Le figure di riferimento non possono appiccicarsi al ragazzo, ma devono trovare una giusta distanza che attivi nell'adolescente la sensazione di essere vicino a qualcuno, ma anche lontano da chi gli sta accanto.
Nessuna adesione dunque lo aiuta, ogni passo verso il pensare con la sua testa lo porta invece a decidere come vivere.

E la sua crescita sarà possibile tanto quanto chi lo circonda è capace di un pensiero che non chiede acritica adesione, ma sa produrre nell'incontro idee nuove, inedite, originali.

Lo sparti acqua tra il genitore e l'operatore che producono salute e quelli che generano malattia si erige in questa capacità di scambiare opinioni senza pretendere che chi ascolta debba crederci. Ma a sua volta questo atteggiamento maturo che offre convinzioni senza esigere adesioni lo possono avere solamente quegli adulti che hanno avuto l'opportunità per maturare. Guardare alla crescita di un ragazzo allora significa individuare i punti di fusione che non hanno permesso al giovane di crearsi una vita psichica autonoma.

L'autonomia di un figlio richiede dunque un processo complesso che vede in campo la responsabilità di molti adulti.

Il ragazzo non si muove solo nel qui ed ora, ma porta in questa dimensione attuale sia le sue esperienze passate e i suoi vissuti transgenerazionali e transindividuali provenienti dal suo mondo familiare sia sentimenti, emozioni, affetti veicolati da chiunque lo abbia incontrato e da qualsiasi dimensione informativa lo abbia raggiunto.

La mente non è quindi autonoma ma è una centralina che elabora ciò che riceve. Essa per poter compiere questa operazioni ha però la necessità di poter disporre di una barriera di contatto che permette di sentire la differenza tra mondo interno e mondo esterno. Questa demarcazione è offerta dall'ambiente materno durante i primi anni di vita del piccolino. Molti giochi emotivi all'inizio dell'età incerta si sono dunque già compiuti, ma l'adolescenza smontando tutta la struttura dell'infanzia lascia spazio ad una nuova opportunità. Quasi sempre è compito delle figure professionali dedite alla prevenzione e alla cura del disagio offrirla.

La seconda nascita
Il percorso che porta un figlio a nascere una seconda volta è affascinante quanto faticoso ed impegnativo.

Per potersene fare una rappresentazione è necessario tenere in mente che non esiste un adolescente che cresce ed uno che si arresta, bensì che c'è un ragazzo a cui è permesso differenziarsi dal suo nucleo familiare e un figlio che invece vi viene trattenuto dentro. Qualsiasi operatore incontri un adolescente deve poter guardare all'intreccio tra i gruppi che si occupano del ragazzo e, a sua volta, capire come lavorino dentro di lui i suoi contesti di appartenenza sia familiare sia lavorativa.

Il professionista non è solo con il ragazzo e il giovane non è solo con l'operatore.

Entrambi, mossi dallo stato d'animo dell'età incerta, portano in scena emotivamente i vincoli tra i gruppi a cui appartengono.
L'operatore ha di fronte il corpo di un unica persona, ma è anche esposto all'ambiguità dei sentimenti che vivono i gruppi dentro ai quali l'individualità dell'adolescente si va formando o viene schiacciata.

Questi legami non sono visibili. Spesso vengono espressi con affermazioni che evidenziano un forte desiderio che il figlio diventi grande, autonomo, responsabile, ma in realtà queste dissertazioni celano nel sentimento latente il bisogno che il ragazzo non si separi e si differenzi né dal gruppo primario a cui appartiene né si integri in nessun altro contesto.

Ad ogni ragazzo dunque si deve dare una possibilità di trovare un suo posto nel mondo.

Bisogna perciò assecondare le spinte di rottura dell'involucro protettivo offerto dal mondo familiare.

E così come solo se una ostetrica aiuta il bebè egli esce con più facilità dall'utero materno, così solo se una società aspetta la nascita di un nuovo soggetto sociale il ragazzo può desiderare andare verso gli altri.

Un figlio per superare la circonferenza del familiare da neonato lotta per esistere psichicamente, poi da bimbetto impara a dire no per uscire dalla fusione materna e, da ragazzino per crescere inizia a rinunciare alla simbiosi familiare. Approda così all'adolescenza trovandosi a soffrire per il distacco definitivo dal mondo domestico.

L'adolescente per riuscire a staccarsi attraversa un periodo burrascoso durante il quale i suoi confini familiari si scontornano e quelli soggettivi si definiscono.

Il giovane deve trovare nuovi contorni identitari dentro ai quali andare a racchiudere il senso che vuole dare a se stesso.

Il corpo è dunque molto investito poiché è il contenitore di questo nuovo essere che il ragazzo avverte di essere in procinto di divenire.

L'adolescente durante questo transito lascia la definizione di se stesso assegnatagli nell'ambito del gruppo familiare e cerca di raggiungere una sua idea della vita e un suo modo di esservi parte partendo dalla storia delle sue origini, ma approdando a qualcosa di originale.

È proprio quando il giovane raggiunge questa sensazione che può dirsi che è nato un nuovo individuo.

L'adolescente deve dunque scrollarsi da addosso il ruolo del figlioletto ribelle, saggio, guastafeste che lo ha visto, fin dalla nascita, oggetto delle affermazioni familiari dirette o delle rappresentazioni genitoriali inconsce.

Tutti i movimenti affettivi e comportamentali sono allora una faticosa, quanto avvincente, ricerca di essere se stesso disunendosi dal suo gruppo familiare per, dopo aver per un po' ripreso fiato nel collettivo amicale, approdare alla sua specifica identità.

Se dunque il piccino non può ribellarsi e sottrarsi consapevolmente da quel posto che madre e padre, con alle spalle le loro rispettive famiglie, gli hanno imposto, il giovanetto può e deve uscire da queste assegnazioni e decidere chi è e chi vuole essere.

Questo passaggio dal gruppo familiare d'origine alla costruzione di un proprio contesto sociale dove può nascere l'esperienza prima coniugale e poi parentale si articola in una complessa articolazione tra dimensione gruppale e affermazione individuale.

Ognuno quindi parte da una identità fusa nel mondo familiare, quasi tutti approdano ad una dimensione soggettiva che implica la responsabilità verso di sé, molti sanno poi riattivare una circonferenza amorevole dentro la quale sentirsi fondatori di un nuovo gruppo.
Il figlio non cresce affettivamente se non si nutre della fusione con il gruppo familiare da cui ha avuto origine, ma non si trasforma emotivamente se non sa rinunciare alla rassicurante cornice del gruppo primario.

Per questo educatori, operatori sociali, psicologi clinici non possono aiutare un ragazzo a disagio, in difficoltà, ribelle, triste o ancor più bizzarro, depresso, delinquenziale, se non pensando al contesto familiare dentro a cui la sua specifica identità non è riuscita ad emergere in maniera salda e solida, forte e sicura, bella e determinata.

Ogni eccesso dell'adolescente è dunque una maniera di funzionare squilibrata da lui assunta in nome della sua intera famiglia.

Per ciascun professionista della relazione incontrare un adolescente in difficoltà implica dunque avere in mente la dimensione gruppale entro cui è cresciuto, ha transitato ed è approdato.

È nella rappresentazione dei vincoli che sta il “virus” nocivo che va curato, debellato, trasformato.
Non esiste un adolescente che soffre, esiste invece un sistema familiare che turba, fa ammalare, destina ad essere il debole, il malato, l'emarginato.

L'analisi dei rapporti che intercorrono dentro al gruppo familiare e del nucleo stesso con il contesto comunitario permette o meno ad un figlio di nascere una seconda volta.

Di questa seconda opportunità si occupano i professionisti della cura districando ogni componente del sistema familiare dal groviglio dentro cui si è smarrito e ogni educatore che con questo nucleo ha colluso ad uscire dai suoi abbagli.

Ogni altro tentativo di strappare un adolescente dal suo mondo gruppale primario e secondario, infatti, è destinato a fallire.

Per trattare un adolescente in crisi è dunque necessaria una teoria sul gruppo e sullo sviluppo identitario come emersione dal gruppo primario nei suoi legami con i gruppi sociali.

Il ragazzo è parte della famiglia, la famiglia si connette con le altre famiglie ed è in questo intreccio che egli può emergere o venir soffocato.
Solamente un sistema di servizi integrato, le cui offerte per gli adolescenti si connettano con quelle per gli adulti educatori, ed inoltre far sorgere tutte queste opportunità come dispositivi facenti parte di una comunità attiva e partecipe, favorisce una sana evoluzione dei ragazzi.

 

Riferimenti Bibliografici

Berto F. - Scalari, P., Divieto di transito, adolescenti da rimettere in corsa, la meridiana Molfetta, 2001

Berto F. - Scalari P., Adesso basta ascoltami educare i ragazzi al rispetto delle regole la meridiana Molfetta 2004

Berto F. - Scalari, P., Fuggiaschi, adolescenti tra i banchi di scuola, la meridiana Molfetta 2005

Berto F. - Scalari, P., Padri che amano troppo, adolescenti prigionieri di attrazioni fatali, la meridiana Molfetta 2009

Berto F. - Scalari, P., Mal d'amore, relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative, la meridiana Molfetta 2011

Berto F. - Scalari, P., Il codice psicosocioeducativo, prendersi cura della crescita emotiva, la meridiana Molfetta 2013

A scuola con le emozioni, (a cura di P. Scalari) la meridiana Molfetta 2012

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.