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Commenti

  • Paola Biasin ha scritto Altro
    Essere genitori e non amarsi: difficile!... Domenica, 14 Giugno 2015
  • Emanuela ha scritto Altro
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    Nel film "Il ladro di... Lunedì, 18 Novembre 2013
La storia
I genitori di Leonardo, un bimbo di due anni e mezzo, continuano a definirsi sfortunati perché hanno un figlio che quando è con loro ha l'argento vivo in corpo e chiacchiera, chiede, pretende, si muove in continuazione tanto che si trovano spesso costretti a zittirlo ed a fermarlo, quando invece deve interagire o con un altro bambino oppure con i nonni, i cuginetti e gli zii, od ancora peggio con degli estranei, si blocca, ammutolisce ed è capace di starsene immobile e silenzioso per ore ed ore incollato alla gonna della mamma o ai pantaloni del papà che gli rifiutano la mano nel tentativo di tenerlo un po' staccato da loro.
Madre e padre continuano a lamentarsi: "Come non sentirsi sfortunati quando si ha un figlio refrattario ad ogni sollecitazione? Non è forse scalogna nera quella di mettere al mondo un figlio che non saluta, che non risponde alle domande che gli vengono rivolte, che non prende il giocattolo o il dolce che gli viene offerto, che non si lascia accarezzare da nessuno al di fuori dei genitori, che urla come un pazzo se qualcuno cerca di prenderlo in braccio, che sa giocare solamente se è da solo con la madre o col padre?"
Ma entriamo un po' dentro alla storia di questa famiglia per conoscerla più da vicino.
E' Domenica. La nonna, per il suo compleanno, ha invitato nella sua grande casa di campagna tutti i figli con le rispettive famiglie. C'è tanta confusione, ma c'è anche tanta allegria. Si mangia, si ride, si scherza si gioca e si ricordano storie passate.....
Leonardo, il più piccolo dei nipoti, è al centro dell'attenzione di tutti, ma, imperterrito, resta appiccicato alla madre e non si lascia coinvolgere dal clima festoso.
Uno zio, dopo alcuni tentativi andati a vuoto, cerca di interessarlo con l'allettante offerta di un maxi albo dei Pokemon e, di fronte all'impassibilità e all'insensibilità del nipotino, commenta ad alta voce: "Ma sei fatto di marmo?". Camilla, una bimba di cinque anni, vuole verificare se il cuginetto è veramente di marmo, gli si avvicina furtivamente e lo pizzica su una guancia lasciandogli un livido rosso. Leonardo non fa una piega e la bambina, meravigliata, esclama: "Ma non sente niente?".
La nonna ha visto tutto. E' preoccupata e vuole accertarsi direttamente della situazione. Invita Leonardo in giardino a vedere la capretta nana che sta brucando l'erba. Il nipotino affonda il viso sulla gonna della madre ignorando la proposta. La vecchia signora non si arrende ed allarga l'invito anche alla nuora che, trascinandosi dietro il bimbo, riesce ad arrivare in giardino, ad avvicinarsi alla capretta, a prenderla in braccio, ad accarezzarla e a proporla al figlio che però non si lascia blandire perché lì vicino c'è sempre la nonna e Camilla che lo stanno osservando.
"Ha paura proprio di tutto!" è la constatazione con la quale la suocera cerca di sollecitare la nuora ad interrogarsi sulla freddezza e sul disinteresse del bambino. "Siamo davvero sfortunati ad avere un figlio così!" è invece il commento della madre.
La nonna però non si arrende. Chiama il figlio maggiore e dopo avergli raccontato i comportamenti di Leonardo, lo invita ad aiutare il fratello e la cognata.
"La freddezza, il mutismo e l'immobilità del bambino, la sua mancanza di reazione al dolore, la sua chiusura emotiva ed affettiva agli altri, il restare separato e serrato dentro un mondo tutto suo fino a che gli altri non se ne sono andati, -suggerisce alla cognata ed al fratello che nel frattempo era stato chiamato dalla madre- mi sembrano segnali da non prendere alla leggera. Conosco una psicologa infantile molto brava. Volete che vi prenoti un incontro?"
"Contro la sfortuna, -è la loro risposta- non c'è niente da fare! Dobbiamo tenercelo così com'è e sperare che crescendo migliori" e, mentre se ne vanno dal giardino, incespicano su Leonardo, che si era appiccicato ad entrambi, gli pestano un piede e lo fanno piangere per il dolore. All'unisono gli gridano: "Vedi cosa ti succede a starci sempre addosso! Se ti tenessi un po' alla larga non ti avremmo fatto male!"
"A proposito di starci addosso -continua la moglie dopo aver calmato il figlio- non ti sembra che i tuoi parenti si impiccino troppo degli affari nostri? Credono di sapere tutto loro!"
"Hai ragione -le risponde il marito- Cercheremo di stare per conto nostro, di tenerli lontani, di frequentarli il meno possibile! Lo abbiamo già fatto con i tuoi genitori e con tua sorella che ci abitano accanto, ci sarà quindi più facile farlo con mia madre ed i miei fratelli che abitano invece distante da noi!"
"Non capisco proprio che gusto ci provino a farci star male! -conclude la donna-. Quella di tenerli alla larga è l'unica possibilità che abbiamo di salvarci da questi sapientoni. Trova una scusa che ce ne andiamo subito!"
E Leonardo, dopo sei ore di silenzio, finalmente parla: "Che bello! Torniamo a casa nostra!"

L'indagine
Madri e padri, osservando certi strani comportamenti ed atteggiamenti che il figlio mette in atto per evitare questa o quella situazione, possono scoprire che il loro bimbo vive delle paure incomprensibili ed ingiustificabili. Questo modo di comportarsi e di atteggiarsi del figlio è ben diverso dalla condotta che i genitori si aspettano da lui, ma è soprattutto lontano dal comportamento che parenti, amici e conoscenti ritengono il più adeguato per un bimbo della sua età. A questo punto i genitori, visto che il problema è uscito dalle mura domestiche e che non possono più negarlo o fingere che non sia importante, si trovano costretti ad affrontarlo.
La loro naturale preoccupazione li pone di fronte ad un bivio dove una indicazione li indirizza verso un atteggiamento paralizzante che non conduce a nessuna trasformazione, mentre l'altra li avvia invece verso una ricerca che porta a sbloccare l'impasse nella quale la paura del figlio li ha fatti precipitare.
Se imboccano la prima strada si trovano ben presto in un vicolo cieco poichè, una volta affermato che il figlio è fatto così, non sanno più che fare. Addebitare infatti gli strani atteggiamenti e comportamenti del loro bimbo alla fatalità, alla sfortuna o al carattere non introduce nessuna possibilità di modificazione. Tutto rimane fermo.
Se invece s'inoltrano nella seconda strada, un po' più impervia e faticosa, possono aiutarsi reciprocamente a percorrerla, possono cioè interrogarsi sul clima familiare nel quale il figlio sta crescendo e quanto essi stessi contribuiscano a determinare uno stato di apprensione che il bambino sta facendo suo.
Il passaggio da un rassicurante -passerà- ad un più inquietante -cosa sta succedendo?- deve essere compiuto quando lo stato di tensione del figlio non appare come un evento episodico e momentaneo bensì come un atteggiamento continuo e ripetuto.
Non si tratta allora di darsi colpe, poiché anche queste non conducono mai da nessuna parte, ma di assumersi la responsabilità di esplorare gli intrecci emotivi con il figlio. Una madre apprensiva, che vive il mondo come un qualcosa di pericoloso, può trasmettere al figlio, quasi sempre involontariamente, il suo timore che non ce la farà ad affrontarlo.
Un padre che si sente minacciato dal giudizio altrui può contagiare il bimbo e, magari senza volerlo, trasmettergli il suo senso di angoscia per quanto può giungergli dagli altri.
Sono questi madri e padri che, vivendo il mondo esterno come cattivo, inadeguato, malevolo possono condurre il figlio a farsi carico del loro desiderio di evitare gli altri per non dover sentire le sensazioni spiacevoli che possono procurare loro.
Sono allora i sentimenti, le posizioni mentali e le convinzioni che il bambino ha assorbito da mamma e papà i vissuti che vanno indagati per comprendere se il figlio non solo si sia fatto carico di -evidenziare- ciò che i genitori stessi temono, ma ancor più per osservare se il piccino, a causa della sua precaria capacità di comprensione, abbia caricato di ulteriori e ancor più terrorizzanti significati parole, vocii e vissuti espressi da mamma e papà.

La scoperta
Madre e padre disposti ad interrogarsi sulle paure del figlio scoprono ben presto che a poco vale cercare di correggere il comportamento terrorizzato del bambino con rimproveri o sollecitazioni. La paura infatti, per il piccolo, diventa una barriera invalicabile e nulla e nessuno può convincerlo a superarla. Forzare, minacciare o far impattare violentemente il bimbo con ciò che egli teme portano solo ad aumentare il suo terrore. Quando invece mamma e papà si mettono alla ricerca del significato che la paura del figlio sta evidenziando possono scoprire quanto delle loro paure gli abbiano trasmesso. Si troveranno così non più impegnati a correggere e rieducare il bambino, bensì a modificare e cambiare se stessi.
E' uno spostamento che dapprima comporta per i genitori il rifiuto di considerare colpevole il figlio e che poi li conduce a considerare se stessi come i soggetti da mettere in discussione.
Spostare l'oggetto del problema diviene dunque un segnale di grande coraggio.
E' infatti un atto altamente temerario e spesso terribilmente doloroso quello che i genitori compiono quando decidono di smettere di depositare le colpe sugli altri, a cominciare dal figlio per finire poi a tutti coloro che lo circondano, per assumersi invece la loro parte di responsabilità.
Ma è anche un atto altamente decisivo quello che il genitori compiono quando, proprio perchè non hanno più bisogno di depositare i loro vissuti dentro al figlio, lo portano a non dover più esprimere con le sue paure quello che essi stessi stanno vivendo.

Il suggerimento
Di fronte ad un figlio terrorizzato i genitori non possono fare nient'altro che iniziare a chiedersi: "quanto fastidio ci arreca questo comportamento pauroso del nostro bimbo?", "e non è a causa di questo fastidio che gli trasmettiamo il nostro rifiuto per quello che sta provando?" per arrivare a comprendere che un bambino che si sente rifiutato si vive sempre in pericolo.
Di fronte ad un figlio pauroso madre e padre possono poi domandarsi: "facciamo attenzione a quanto gli altri ci suggeriscono", "siamo o non siamo in grado di ascoltare, cioè di tenere in considerazione, valutare e recepire, il discorso altrui?" per arrivare a comprendere che un bambino che si sente inascoltato si vive sempre in difficoltà.
Di fronte ad un figlio spaventato i genitori possono infine dar parola alle loro stesse paure chiedendosi: "nella nostra storia personale ci sono dei nodi problematici, dei traumi, degli eventi, dei vissuti che involontariamente abbiamo trasmesso al figlio?", "siamo disponibili ad ascoltarci reciprocamente ed aiutarci a dissipare il buio che circondava questi eventi?" per arrivare a comprendere che un figlio, se sostenuto da un padre ed una madre che hanno fatto chiaro dentro se stessi, può avventurarsi fiducioso verso la vita.

In collaborazione con Francesco Berto

Incontri

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.